I Melvins, Cobain e la svolta sotto Atlantic Records

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Ci sono momenti di svolta nella storia di un’artista e il passaggio ad Atlantic Records, per i Melvins, è uno di quelli. Con 4 album e svariati EP all’attivo, e dopo aver basato le proprie fortune spaziando tra Sludge e Doom Metal, la band conferisce un tono più accessibile a molti dei suoi pezzi dei primi anni ’90, influenzati dall’imperversare del fenomeno Grunge e sollecitati dalle richieste di maggiore radiofonicità della nuova etichetta discografica.

Allora ecco che con “Houdini” (1993) compaiono nuovi elementi quasi mai visti in precedenza, che pongono il disco teso a metà tra la lentezza ipnotica degli esordi e la frenesia di riff indimenticabili. Il disco piazza ossimoricamente in copertina il sorriso di due bambini per poi spegnerlo nei tamburi impazziti di “Hooch” e squarciarlo con le distorsioni granitiche di “Night Goat”.

Dietro alla sua uscita aleggia la discussa produzione di Kurt Cobain, grande amico ed estimatore della band, citata a più riprese come una delle sue maggiori influenze, che in questo ruolo dietro le quinte non diede certo il meglio di sé a detta di Buzz Osborne. Le condizioni di salute di Cobain erano infatti precarie e le sue forze annichilite davanti ad un lavoro di missaggio pretenzioso, mai veramente portato a compimento ma che porta ufficialmente il suo nome nelle tracce 1, 7, 8, 9, 12 e 13 e lo vede suonare chitarra e batteria rispettivamente in “Sky Pup” e “Spread Eagle Beagle”. Proprie le tensioni createsi tra Cobain e i Melvins riescono a palesare il loro spirito “politico” nei confronti degli eccessi e delle droghe che pur non mirando verso un diniego totale, mantiene la forza convinzione che porsi dei limiti autonomamente sia necessario in quanto soli artefici del proprio destino, in un’ottica liberal e umana allo stesso tempo, che ha caratterizzato molti gruppi Stoner a cavallo tra i due millenni.

Passa un anno ed esce “Stoner Witch” (1994) che tenta di abbracciare una forma canzone classica nella sua prima parte ma nella seconda si dà alla sperimentazione più vicina a quella dei primi lavori. Lo stesso King Buzzo, parlando di “Revolve”, uno dei pezzi più ascoltati della band, ha più volte manifestato quello che in linea di massima è ribrezzo verso la successione strofa-ritornello-strofa-ritornello et similia, ma che in questo pezzo vede una felice eccezione. L’immaginazione straripa da tutti i pori e porta la band di Aberdeen a scrivere un pezzo dall’enorme capacità emotiva, capace di influenzare altre opere, dalle più dure alle più morbide e palesa la strepitosa efficacia di un metodo di scrittura decisamente anti-teorico, istintivo e rilassato, che vede come suo espediente migliore “…to take a guitar and play in front of a wall” quasi come se ristrettezza dello spazio in cui suoniamo opponesse all’ampiezza del risultato artistico che ne scaturirà.

di Dario Di Matteo

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