Los primeros deseos de Pedro (I primi desideri di Pedro)

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I film vanno finiti, anche se alla cieca!
Mateo Blanco/Harry Caine (Gli abbracci spezzati)

Una volta Federico Fellini disse che girare un film significa cercare di guarire da una lunga malattia partorita dall’ideazione del film stesso, da cui si può guarire subito dopo aver concluso il montaggio definitivo. Il regista riminese però aggiunse che spesso questa malattia tende a ripresentarsi all’arrivo dell’idea per la pellicola successiva.

Cito Fellini non a caso: nonostante DOLOR Y GLORIA, l’ultimo film di Pedro Almodovar (proiettato dal 17 maggio sia nelle nostre sale che al festival di Cannes, dove sta concorrendo per la Palma d’Oro) sia già etichettato come il suo personale 8 ½, non è di certo la prima pellicola a riproporre quel modello di autobiografia meta-cinematografica; molti altri registi, come Woody Allen con STARDUST MEMORIES, Bob Fosse con ALL THAT JAZZ, (vincitore della Palma d’Oro), Nanni Moretti e persino Spike Jonze e Charlie Kaufman con IL LADRO DI ORCHIDEE (ADAPTATION) hanno preso come punto di riferimento il film monumentale di Fellini. Alcuni di questi lungometraggi sono riusciti ad omaggiare il maestro senza replicare la sua visionarietà, salvo il film di Woody Allen, che si è presentato fin dalla sua uscita come un plagio misto a parodia, seppur “annacquato” con atmosfere esistenzialistiche alla Ingmar Bergman. D’altronde c’è di peggio: Paolo Sorrentino, in effetti, si è ormai guadagnato la doppia reputazione di falsario e imitatore dello stesso Fellini. Quest’ultimo, in realtà, è stato l’unico ad aver puntato sull’originalità, fondendo la descrizione della realtà a loro circostante con una visione onirica, prendendo tutto quel caos generato dal proprio “buco” d’ispirazione per poi trasformarlo in arte. Molti di questi registi/alter ego sono alquanto “smarriti”, e faticano a raggiungere il loro scopo; spesso non hanno niente da dire, anche se vogliono ugualmente dire qualcosa o, come diceva Claudia Cardinale, nel film di Fellini, spesso “non sanno voler bene”.

Tornando a DOLOR Y GLORIA e alla vicenda narrata: il regista e sceneggiatore Salvador Mallo (interpretato da uno struggente e coloratissimo Antonio Banderas, che non può non essere premiato a Cannes oppure ai Premi Goya) non ha più girato un film da quando è stato sottoposto ad un intervento chirurgico alla colonna vertebrale; accusando dolori post-operatori che diventano sempre più lancinanti, ha cominciato a credere di non poter più lavorare. In effetti, Salvador non saprebbe cosa fare della sua vita senza il cinema e la scrittura, che lo hanno salvato dalla povertà, dalle menti ristrette dei sacerdoti gestori di un collegio, e soprattutto da un amore doloroso, ma mai dimenticato. Grazie a diversi incontri fortuiti con persone e oggetti provenienti dal suo passato, Salvador si lascia trasportare dal consumo di eroina e dai ricordi d’infanzia, con la speranza di ritrovare la salvezza, e di guarire dalla malattia “felliniana” del “non fare un film”.

Ovviamente i richiami al su citato film di Fellini sono decisamente presenti in questo nuovo lavoro; nonostante ciò, non si “osa” giungere all’imitazione; anzi, Almodovar ha sempre saputo guardare, e imparare, dai suoi maestri della Hollywoodclassica” e del Neorealismo italiano, per poi mascherare abilmente le citazioni, inserendole all’interno di sceneggiature originali dalla struttura solida, che evadono quasi sempre il pericolo del “già visto”.

Con questa autobiografia, lo spettatore avrà l’occasione di condividere sul grande schermo tutte le passioni del regista: il cinema, la letteratura, il teatro, lo stile di vita delle donne valenciane, la vida madrilena, i colori caldi, e soprattutto gli uomini. In effetti, c’è tanta passionalità vibrante nei personaggi maschili di DOLOR Y GLORIA quanto in quelli femminili, che non hanno mai smesso di far parte del mondo creativo del regista. Quando uno spettatore affezionato vedrà in questo lungometraggio diversi interpreti “storici” del regista, come Banderas, Penelope Cruz, Julieta Serrano (che ha già interpretato la madre di Banderas sia in MATADOR che in DONNE SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI) e Cecilia Roth (l’indimenticabile Manuela di TUTTO SU MIA MADRE) di sicuro si sentirà come se fosse “tornato a casa”. È apprezzabile persino l’interpretazione caliente e risoluta di Asier Etxeandìa nei panni di un giovane attore portato alla fama dal protagonista, che si ritroverà ad essere il suo alter ego in un monologo teatrale scritto da Salvador, che però si rifiuta di firmarlo. Il pubblico televisivo ha già avuto modo di conoscere Etxeandìa nel ruolo di Beni Lopez nella prima stagione della serie PASO ADELANTE, e anche in quello di Raul de la Riva in VELVET. Curiosamente ha recitato persino in una scena de GLI ABBRACCI SPEZZATI, che però Almodovar aveva deciso di tagliare dal montaggio definitivo, includendola poi negli extra della sua edizione home video. Di sicuro questo nuovo arrivato nella “famiglia” attoriale del regista potrà avere l’occasione di essere conosciuto da una fetta più ampia di pubblico per merito anche delle scene legate al monologo che, insieme al ritratto del piccolo Salvador, dipinto da un giovane muratore, rappresentano l’anima pulsante di questa storia.

Molti critici e spettatori almodovariani ritengono che VOLVER sia stato il suo ultimo film di successo; e si potrebbe dire che il maestro spagnolo, con questo DOLOR Y GLORIA, potrebbe aver raggiunto nuovamente il capolavoro, nonostante si pensi che questa recente produzione di “almodrammi” stia sostituendo del tutto, o magari temporaneamente, quella dei film comici e grotteschi dei primi anni. Comunque sia, che scelga la commedia o il dramma per un’eventuale pellicola successiva, Almodovar è sempre stato uno dei pochi registi ad aver mantenuto intatta la sua visione del mondo senza rinunciare alle proprie passioni; e questo di sicuro gli rende onore.

Bienvenido de nuevo al cine, Pedro!

di Lorenzo Palombo

Los primeros deseos de Pedro (I primi desideri di Pedro)